Recensioni
“Closet Monster”, promettente esordio di Stephen Dunn
Visto alla X festa del cinema di Roma, l’esordio nel lungometraggio di Stephen Dunn, che al 40° festival di Toronto ha vinto il premio come miglior film canadese, è passato a Roma del tutto sotto silenzio, confinato – un po’ incongruamente e oltretutto fuori concorso – nella sezione “Alice nella città”. Si tratta invece di un esordio degno della massima attenzione: un’opera immaginifica che, seguendo le orme di Xavier Dolan (di cui Dunn è coetaneo), non rinuncia a citare anche Cronenberg per coinvolgere lo spettatore nel coming-of-age di Oscar (Connor Jessup), un ragazzo alla scoperta della propria omosessualità, in un contesto sociale da cui emerge un livello di omofobia preoccupante.
Diciamo subito che l’emulazione di Dolan è evidente. Anzi lo è al punto da non costituire un limite su cui insistere (meno che mai un difetto): Dunn, oltre a rivelarsi assolutamente padrone del mezzo con una messa in scena a dir poco vivida, sembra possedere una sua personale cifra estetica, tutt’altro che embrionale, che lo distingue dal famoso collega. …continua a leggere su Ondacinema.
“Junun” di P.T. Anderson, un documentario pigro.
Nel febbraio 2015 Paul Thomas Anderson si è recato nell’India nord occidentale con l’amico e sodale Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead nonché autore delle colonne sonore del regista a partire dai tempi de “Il Petroliere”. Insieme a loro, Nigel Godrich. Greenwood era stato invitato a collaborare con il compositore israeliano Shye Ben Tzur alla registrazione dell’album “Junun” (che sarà disponibile da novembre 2015), insieme ai Rajasthan Express, ensemble locale di corde, fiati e percussioni.
Il film, girato in digitale a bassa definizione (presentato alla X edizione della festa del cinema di Roma, dopo essere passato per il festival di New York), disponibile online sulla piattaforma MUBI, documenta le giornate di lavoro nella cornice del forte Mehrangarh del XV secolo, appartenente ad un maharaja che fa anch’egli la sua apparizione, per presentare il gruppo di musicisti nel corso di un’estemporanea esibizione nell’ambito di un festival locale, a Jodhpur, la località del Rajasthan sulla quale, dall’alto del forte, si gode una vista spettacolare.
Anderson non pone la sua firma nei titoli di coda come “regista”; compare semplicemente insieme agli altri operatori. Una scelta coerente con l’impostazione del documentario, che non si pone come un’opera di Anderson. “Junun” va visto (e goduto), semplicemente, come occasione …continua a leggere su OndaCinema.
“Carol” di Todd Haynes
La forza di un film come “Carol”, ambientato nei primi anni ’50, deriva in buona parte dal fatto di provenire direttamente da quegli anni. Lo script di Phyllis Nagy, infatti (“Carol” è il primo film di Todd Haynes la cui sceneggiatura non porta la sua firma), è tratto dal secondo romanzo di Patricia Highsmith, “The price of salt” (questo il titolo col quale fu originariamente pubblicato nel 1952), un romanzo che la scrittrice – nonostante il grande successo dell’esordio, portato sullo schermo da Hitchcock – ebbe non poche difficoltà a pubblicare, riuscendo infine a farlo sotto pseudonimo, a causa del suo soggetto omosessuale in contrasto con la morale puritana dell’epoca.
Carol è Cate Blanchett, in un’altra delle sue superbe interpretazioni (solo pochi giorni fa l’avevamo ammirata in “Truth”). Una donna altoborghese in crisi con il marito e con una bambina piccola, consapevole sin da giovane della propria omosessualità, la quale prova attrazione, ricambiata, per Therese (Rooney Mara, premiata al festival di Cannes per la sua stupenda interpretazione), giovane commessa del reparto giocattoli di un grande magazzino di Manhattan. Carol: caso vuole che il nome …continua a leggere su OndaCinema.
“The Whispering Star”. Il nuovo Sion Sono tra elegia e umanesimo.
Visto in anteprima italiana alla X edizione della festa del cinema di Roma, nel nuovo film di Sion Sono, il suo primo del tutto indipendente, siamo di nuovo a Fukushima, trasfigurata in monito e metafora. Sion Sono azzera il proprio cinema e lo innova con un’ode alla memoria, un’elegia fantascientifica intrisa di umanesimo.
“Questo è un film sui ricordi”, dice Sion Sono nelle note di regia. “Una preghiera per tutte le genti nel mondo che vivono sotto minaccia ogni giorno”. “The whispering star” è stato girato in gran parte nella regione di Fukushima, colpita dallo tsunami dell’11 marzo 2011. Vi recitano le persone che vivono, oggi, in quei luoghi. Persone le cui abitazioni sono state distrutte o evacuate, che insistono a vivere lì dove sono le loro radici. Gli scenari delle sequenze non ambientate nello spazio, in questo eccentrico film di fantascienza, sono le lande desolate della regione di Fukushima, con le loro abitazioni distrutte, i relitti delle barche ancora dispersi sulla terraferma.
Si respira sempre più aria di post-apocalisse nel Giappone di Sion Sono, e Fukushima è diventata …continua a leggere su OndaCinema.
Profondità di tempo. “Ritorno alla vita” (“Everything will be fine”) di Wim Wenders.
Profondità di campo, profondità di tempo. Wenders usa congiuntamente il 3D e le ellissi per creare straniamenti spaziali e temporali, suggerire disorientamento emotivo, restituire l’inafferrabilità del tempo e dunque della vita. Un modo nuovo per parlarci, come molte altre volte, di esistenze sospese e, soprattutto, della paura e del bisogno della paternità.
L’effetto è di trattenere le emozioni e farle pulsare sottotraccia: “Ritorno alla vita” è tutt’altro che un film raggelato. Come diceva Bresson, “produce emozione attraverso una resistenza all’emozione”. Ho provato ad approfondire questo punto di vista su Cineforum Web.
PER AMOR VOSTRO di G. Gaudino. Di ricatti e di riscatti
Per CineforumWeb, ho scritto una cosa su di un film che ho amato molto: “Per amor vostro” di Giuseppe M. Gaudino, presentato in concorso al 72° festival di Venezia, e valso a Valeria Golino il premio per la miglior interpretazione femminile.
Un film materico, dallo stile sbrigliato e ardimentoso. Buona lettura, e buona visione.
“Nata per volare come un angelo, costretta a subire sin da bambina per colpa del fratello, Anna è una donna attorno alla quale la realtà si è ristretta e scolorita. Anna capasciacqua …continua a leggere su CineforumWeb.
“Mountains May Depart”: lo sradicamento della Cina.
Il film che per molti avrebbe dovuto vincere la Palma d’Oro allo scorso festival di Cannes – dove Jia Zhang-Ke, acclamato come il più importante regista cinese della sua generazione, nonché, a parer mio, uno dei più importanti registi viventi, non ha ancora ottenuto il massimo riconoscimento. Questo “Mountains may depart” è il suo film probabilmente di maggior presa su un pubblico occidentale, anche per le sue sfumature melò, che facilitano il coinvolgimento emotivo dello spettatore.
Non è certamente per questa ragione, comunque, se mi è parso un autentico capolavoro. Uno fra i tanti firmati da Jia. E’, soprattutto, per la cristallina semplicità e chiarezza con cui Jia si esprime, racchiudendo in quest’opera l’essenza della propria poetica. La potenza è tale che non stonano neppure un paio di sottolineature didascaliche, anzi paiono effettivamente opportune.
Suddiviso in tre episodi, che dal 1999 conducono fino al 2025, è il racconto di uno sradicamento. I suoi tre movimenti registrano il passato che si sgretola, nel rinnegamento delle memorie e degli affetti. Sono i segni del progresso, il costo della modernità, le controindicazioni dello sviluppo – di cui Jia, da buon orientale ancorato a tradizioni millenarie, non vede “magnifiche sorti”. Una metafora universale, un monito valido non solo per la Cina contemporanea.
Qui la mia recensione, per OndaCinema.
Faber in Sardegna.
Il documentario su De André “Faber in Sardegna” è tutt’altro che eccezionale, anche se guardarlo mi ha ugualmente emozionato. Ne ho scritto su Ondacinema (qui la recensione). E’ uscito in sala accompagnato da un estratto dal concerto al Brancaccio dell’inverno del 1998, chiamato “l’ultimo concerto”. Ora è vero che era l’ultimo tour, però io partecipai – in prima fila – a un concerto del luglio successivo, e quello fu davvero l’ultimo concerto romano.
Quando seppi dell’inattesa morte di De André fu un lutto che mi ferì anche più di quello, quasi contemporaneo, di Stanley Kubrick. Ricordo che gli dedicai dei versi, ispirati proprio a quel concerto, l’unica occasione in cui potei incrociarlo.
Nel suo ultimo tour, Fabrizio a un certo momento usava alzarsi da sedia e, deposta la chitarra, si andava a sedere per terra in un angolo del palco. Lì interpretava “Sidùn”. Struggente, agghiacciante: il momento di maggior intimismo e pathos dell’esibizione.
Poco prima di iniziare il canto si riservava una breve pausa di silenzio. Noi guardavamo lui e, lui, a un certo punto, guardava noi. E libero da ogni turbamento, malgrado la drammaticità del canto che doveva seguire, accennava un sorriso denso di ironia, e consapevolezza infinita di tutti i mali, i dolori, di tutti i modi per prenderli in giro.
Qui la mia poesia Spettacolo di un’anima
Take a look at The other side. “Louisiana” di R. Minervini
Su Cineforum, la mia recensione del nuovo film di Roberto Minervini, “Louisiana” (“The other side“, il titolo originale), presentato a Cannes nella sezione Un certain regard. Un “documentario” che non si ferma davanti a nulla nell’indagare entro le pieghe di un’America derelitta e abbandonata a sé: “white trash” si dice, spregiativamente, a proposito di questa umanità, che Minervini osserva senza indulgenze e senza compiacimenti, in un progetto che, se non fa gridare al capolavoro come il precedente “Stop the pounding heart“, è però anche più coraggioso nel portare ancora più avanti un dialogo, quasi sperimentale, fra il reale e la sua messa in scena.
Qui la recensione del film.
“Leviathan”. Le persecuzioni di Giobbe sulle rive dell’Artico.
“Leviathan” è il quarto film del regista de “Il ritorno” (leone d’oro a Venezia 2003). Nel frattempo i suoi due altri film, “Banishment” (2007) e “Elena” (2011) – entrambi belli, anche se non capolavori come il film d’esordio – sono rimasti inediti in Italia. “Leviathan” ha ottenuto il premio per la miglior sceneggiatura a Cannes 2014.
Asciugato lo stile sino a un minimalismo estremo, la messa in scena di Zvyagintsev è più asettica che rigorosa. Un registro, quello scelto, che contribuisce a precludere all’opera l’universalità cui ambisce.
Su CineforumWeb la mia recensione di un film che ad alcuni (non molti) è parso un capolavoro, ma che, per me, si è rivelato una piccola delusione.
Voto 6
2 stelle e mezza su cinque
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