Mese: marzo 2014

Il “Meridiano di Sangue”, la FRONTIERA DELL’ORRORE. “El sicario. Room 164” di Rosi; “2666” di Bolaño; “The counselor” di Scott. Etc.

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Mi ritrovo spesso ultimamente ad attraversare la frontiera-non-frontiera fra Messico e Stati Uniti. Là dove passa la droga. Tonnellate di droga. Là dove il Male assume forme raccapriccianti e insostenibili. Dove il male rimane un sicario senza volto *. Dove ogni indagine sparisce nel deserto del Sonora come dentro a un buco nero; e Ciudad Juarez è una città impossibile, di un capitolo segreto, sull’orrore, delle Città invisibili di Calvino. (O delle Finzioni di Borges). 
Entrate in questo universo attraverso uno di questi passaggi segreti (quasi come dentro a un film di David Lynch), una delle porte che adesso vi consiglio.
E buona fortuna.
Primo passaggio. 2666” di Roberto Bolaño. Uno di quei libri che segnano un punto e a capo nella storia della narrativa; un libro asperrimo e abbacinante, un’opera incommensurabile dalla quale non si esce uguali a come si è entrati. 
Secondo passaggio. El sicario. Room 164“, di Gianfranco Rosi (quello di Sacro Gra). Dateci un’occhiata; è un documentario cui gli autori di “The act of killing” debbono essersi ispirati.
Terzo passaggio. Inevitabile, archetipico: la trilogia della frontiera di Cormac McCarthy.
Quarto passaggio. “ZeroZeroZero” di Roberto Saviano.
Quinto passaggio. The counselor – il procuratore“, di Ridley Scott, su sceneggiatura di McCarthy.
Questi passaggi sono 5 porte. Tra loro indipendenti. Potete entrare, uscire e rientrare da quella che preferite. Come dalle/nelle 5 parti di cui si compone l’opera-monster di Roberto Bolaño.
Altre porte che io stesso devo ancora attraversare: proprio “Meridiano di sangue” di McCarthy. E “Il figlio”, di Philipp Meyer. Indicato da alcuni come il Grande Romanzo Americano di questo scorcio di inizio secolo.
* Come quello del fotogramma qua sopra, tratto dal documentario-intervista di Gianfranco Rosi a un sicario (killer e torturatore) ex affiliato a un cartello dei narcos.
SONORA

“LEI” (“HER”), ovvero: della persistenza della memoria emotiva, e del bisogno d’amore nel solipsismo dell’era digitale.

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HER“Her” è un capolavoro. Un classico. Italo Calvino avrebbe elogiato questo film. Leggerezza. Rapidità. Esattezza. Visibilità. Molteplicità. Le lezioni americane fatte film.

In “Her” (dialoghi stupendi, regia baciata dalla grazia, interpretazioni magistrali, fotografia fantastica) c’è un equilibrio miracoloso tra profondità e levità. Il bisogno universale di contatto e amore dialoga poeticamente con la tendenza al solipsismo propria dell’era digitale. Continua a leggere…