Mese: marzo 2015

“Vizio di forma” di P.T. Anderson. L’occultamento dei persuasori e l’inherent vice dei sixties.

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Paul Thomas Anderson a partire da “There will be blood” (“Il petroliere”) ha iniziato una rilettura dell’evoluzione degli Stati Uniti secondo una prospettiva in cui paiono centrali i rapporti di potere fondati sulla persuasione e sul dominio psicologico. Gli ultimi tre film fotografano tre tappe successive: “Il petroliere” è il contro-racconto dell’espansione territoriale e capitalista fondata sul mito del self-made man; “The master” si tuffa nei lati oscuri dell’espansione economica degli anni ’50; “Inherent vice” (“Vizio di forma”) punta a svelare il vizio intrinseco della controcultura, all’alba del riflusso (siamo nel 1970), confrontandosi con i segnali della frantumazione dell’ultimo grande sogno americano, quello utopico dei sixties. Il-petroliere-2

Tipici del cinema di Anderson sono alcuni personaggi che esercitano il proprio dominio facendo massiccio ricorso alla retorica verbale (Eli Sunday in “There will be blood”, che richiama il guru interpretato da Tom Cruise in “Magnolia”, sarà replicato a sua volta in “The master” dal Lancaster Dodd di Philip Seymour Hoffman). Un personaggio del genere manca a “Vizio di forma”: nel passaggio da un film all’altro, l’attenzione di Anderson sembra spostarsi progressivamente dai persuasori a coloro che ne sono succubi. Se “Il petroliere” si concentra sulle figure dominanti – in piena luce anche agli occhi della comunità fra loro contesa – in “Vizio di forma” non si vede più chi detiene il potere. Si è come occultato; è diventato occulto (nel frattempo, occorre dire, c’è stato quel passaggio chiave che è l’assassinio di J.F. Kennedy. Una pervasiva paranoia sta mettendo solide radici. Il tema è caro a Pynchon; e, a ben vedere, è presente nel cinema di Anderson sin dai primi film).

Ne “Il petroliere” si scontravano due poteri fondati entrambi su una potente ideologia: il potere del magnate, fondato sulla promessa della prosperità, e quello del prete, basato su promesse spirituali. Due poteri a vocazione totalitaria che mal si tolleravano e non accettavano subordinazione reciproca, pur avendo bisogno l’uno dell’altro.

the-master_top“The master” compiva un complesso scavo dentro i rapporti di forza, dipendenza, dominio e sudditanza psicologica. Quasi in funzione di giuntura fra il film che segue e quello che precede, raccontava il confronto e lo scontro fra un persuasore e il suo destinatario prescelto. Non è un caso se lo stesso attore, Joaquin Phoenix, che interpreta il ruolo del soggetto manipolato in “The master”, è protagonista assoluto in “Vizio di forma”. In “Vizio di forma” manca uno scontro tra due soggetti. Al centro c’è solo Doc Sportello: attorno a lui tutto sfugge. Nell’ultima inquadratura, il suo volto sembra illuminato da uno specchietto retrovisore che attrae il suo sguardo, quasi ipnotizzandolo. Non sappiamo cosa lui veda, ma di certo non la vediamo noi: qualunque cosa lo illumini tallonandolo, rimane occultata. Vizio di forma

“Vizio di forma” mette in scena il sogno hippie trasfigurato in un incubo: la realtà si è fatta labirintica, come nella percezione distorta dalle droghe. Ne è mimesi la struttura stessa del film, inestricabile come nella prosa di Pynchon. I persuasori sono spariti perché chi detiene il potere non ha più bisogno di profeti, è uscito di scena perché ha messo radici ormai solidissime. E’ la droga lo strumento privilegiato di dominio: mezzo di apparente liberazione, è strumento di subordinazione. Viene suggerito, a un certo punto, che lo stesso cartello che controlla il traffico della droga lucri anche sui centri di disintossicazione. La Golden Fang incarna dunque il ciclo di produzione-consumo che si riproduce all’infinito, il capitalismo che ha raggiunto la sua perfezione. Se la rilettura che fa Anderson degli anni ’60 è questa, sembra prossima all’analisi che ne fece in tempo reale Pasolini: non una rottura con il sistema, quale in effetti non fu, ma neanche un tentativo fallito di rottura che avesse avuto possibilità di successo. Piuttosto, un prodotto del sistema capitalistico, che per riprodursi aveva bisogno delle ideologie, dei miti, delle utopie di una generazione che è stata poi mitizzata. Anderson la rappresenta come il falso movimento di una dialettica fallata da un vizio intrinseco.

“Cloro”: il bell’esordio di Lamberto Sanfelice.

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cloro-locandinaIl bell’esordio di Lamberto Sanfelice, presentato di recente con successo al Sundance Film Festival e al Festival di Berlino, è una promettente opera prima.

Accompagnandosi a quello fra sogno e destino, il dualismo acqua/montagna percorre tutto il film.

Un racconto di formazione in cui uno sguardo aderente alla realtà si coniuga felicemente ad alcuni suggestivi momenti espressionisti.

Qui la mia recensione:

CLORO, Lamberto Sanfelice, 2015

E qui la mia intervista con il regista:

Intervista con Lamberto Sanfelice, regista di “Cloro”

“Nessuno si salva da solo”: la più deludente trasposizione di Castellitto dalla Mazzantini.

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Nessuno_si_salva_da_solo_Jasmine_Trinca_Riccardo_Scamarcio_foto_dal_film_10_bigMentre il romanzo “Nessuno si salva da solo” era secco, acido e crudele, il film, la cui regia è sciatta e svogliata, è sbagliato soprattutto per scelte di sceneggiatura che lo fanno scadere nel consolatorio.

Qui la mia recensione su Ondacinema:

NESSUNO SI SALVA DA SOLO, Sergio Castellitto

Voto 4

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“Jauja”, dove il cinema contemplativo di Lisandro Alonso incontra Borges

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viggo_mortensen_03Aggiunto all’archivio dei capolavori l’ultimo film del regista argentino Lisandro Alonso, “Jauja”, un film che inizia come “Aguirre” di Herzog, prosegue come “Picnic ad Hanging Rock” di Weir, per finire in un modo che ricorda “Mulholland Drive” di Lynch. Ma sulla pellicola di Alonso, cineasta che da sempre corteggia fantasmi, aleggia soprattutto il fantasma del connazionale Jorge Luis Borges, gigante della letteratura del ‘900: il quale al mistero, e all’indecifrabilità dell’esistere, ha eretto impressionanti monumenti.

Buona lettura:

JAUJA, Lisandro Alonso, 2014

The Repairman: apologia dell’ingenuità

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TheRepairman-e1421768713782-300x257Inizio la mia collaborazione con Cineforum con questa recensione dell’esordio nel lungometraggio di Paolo Mitton, uscito in (pochissime…) sale lo scorso fine settimana. Un piccolo film, che una visione (e una maggior considerazione) la meriterebbe:

THE REPAIRMAN, 2013