Mese: ottobre 2014

ANGELI DELLA RIVOLUZIONE di Aleksei Fedorchenko. L’omologazione culturale sotto lo stalinismo

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Angeli_rivoluzione_03“Angeli della rivoluzione” è un film dall’impostazione marcatamente simbolica, che racconta del tentativo di omologazione culturale delle etnie minoritarie da parte dell’egemonia dominante, compiuto ricorrendo prima alle maniere deboli, con l’arte, quindi passando alle maniere forti: intervento armato e genocidio. Se l’interesse di Fedorchenko non si sposta dalla questione etnica, la sua attenzione si rivolge però adesso non alla messa in scena delle tradizioni, attuali e vive, di un’etnia (come nel precedente film), quanto al racconto delle azioni dei sei angeli dell’ironico titolo. Introdotti ciascuno da un capitolo autonomo, lo scultore, il compositore, l’architetto, il regista teatrale e il regista cinematografico sono guidati da Polina la Rivoluzionaria (personaggio modellato su di una figura realmente esistita), affascinante e gelida pasionaria interpretata da Daria Ekamasova (già al fianco di Fedorchenko nel precedente film). Prima che raccontare di un tentativo di omologazione culturale, quindi, “Angeli della rivoluzione” si concentra sulla grottesca messa in scena, in chiave surreale, dell’asservimento della cultura al potere. …Continua a leggere.

SOAP OPERA: parodia spuntata delle soap, senza talento e senza coraggio.

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Soap_Opera_2 “Soap opera” vorrebbe essere la caricatura esagerata di tutti i luoghi comuni tipici delle soap, senza minimamente avere il coraggio di graffiare, o la capacità di affrontare radicalmente ed esplicitamente un discorso critico. Il risultato è una commedia inverosimile, che non fa quasi mai ridere, infarcita di situazioni irreali e dialoghi imbarazzanti fra figure dai caratteri improbabili. Meglio, molto meglio le soap. Che sono più oneste, con tutti i loro limiti, di questo prodotto spacciato per cinema, che si permette l’ambizione di prendersi gioco delle soap.

Siamo pronti a scommettere che nemmeno il pubblico di massa – unico reale target di riferimento di questa operazione commerciale – possa premiare una messa in scena così artefatta e implausibile, girata interamente a Cinecittà fuori da ogni possibile coordinata …continua a leggere.

TIME OUT OF MIND di Moverman: un distillato di minimalismo tra Carver e Hopper

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Richard Gere was spotted shooting a scene for "Time Out Of Mind" in Woodside, Queens.Un film piatto, monotono, può essere un grande film. Ritmo lento, dilatato; prosciugamento del plot (manca, o quasi, l’elemento narrativo); camera fissa e inquadrature studiate (mai estetizzanti); rari movimenti di macchina. “Time out of Mind” di Oren Moverman, film fortemente voluto da Richard Gere – che oltre ad esserne interprete l’ha prodotto – è un film indipendente coraggiosamente autonomo rispetto agli omologati standard Sundance.
Si può ritenere esteticamente discutibile la scelta di una star-icona del calibro di Richard Gere di interpretare George, un senzatetto newyorkese? Si può, ma solamente qualora l’assenza di una narrazione canonica e di cambi di ritmo faccia venire nostalgia di cinema diretto. O magari di un documentario vero e proprio, anziché di un film di fiction in stile documentaristico. Ma occorre essere attenti, saper guardare. In questo film Moverman …continua a leggere

Pillole da Roma 2014 – prima parte.

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Time out of mind (O. Moverman) Un film monotono che è un’opera eccezionale, sotto il segno del più squisito minimalismo di Carver e di Hopper. Recensione su OndaCinema. Voto 7,5

Trash (S. Daldry). Vedi pillola. Voto 5.

Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet (J.-P. Jeunet). Jeunet trova la sua dimensione ideale nel racconto di formazione per ragazzi, ricco di invenzioni intelligenti, che affronta temi impegnativi (per un film destinato a un pubblico particolarmente giovane) come la Morte e la sua rimozione. Con una sequenza memorabile: un’elegante e feroce parodia del sistema mediatico. Voto 6,5.

DARUMA DOLLAs the gods will (T. Miike). Uno dei suoi film più belli che mi sia capitato di vedere (una ventina). Geniale, spiazzante, costantemente imprevedibile (e sempre con un’aggiunta di senso). Ogni sequenza un potenziale memorabile cult. Ma c’è di più. Il film ha una complessità di fondo che va ben oltre l’apparente (e irresistibile) divertissement, quanto a dissacrante visione sociale. C’è un equilibrio folle tra crudeltà e ironia in una denuncia che più intransigente non si può su una società che forma i giovani a leggi di insana competizione. E c’è, come sempre in Miike, il ruolo ultimo della fortuna che decide infine se premiare l’odio e/o l’amore. “As the gods will” è (anche) una geniale parodia di “Hunger games”, che dà una pista o due pure a film occidentali appena interessanti, come “Quella casa nel bosco”. Uno dei capolavori del cineasta giapponese. Voto 9

Eden (M. Hansen-Love). Mia Hansen Love ha fatto di meglio. Qui assayaseggia troppo. Il film è prolisso, e nonostante sia girato un gran bene, sa di visto. E’ schiacciato dai giganti del passato, questo cinema che rifà la nouvelle vague ad libitum. La vita come ripetizione, ritmo, coazione a ripetere: attimi promiscui ellittici, fuggenti. Amori precari in vite precarie, vissute intensamente e presto scorse via. …Ma quanto Truffaut, quanto Garrel, quanto Doillon. …Quanto Assayas! Voto 6

Still AliceStill Alice (R. Glatzer, W. Westmoreland). A fronte di una regia al servizio della storia (una regia convenzionale ma con una discreta idea di fondo centrata sulla sfocatura, e alcuni momenti particolarmente efficaci – su tutti la sequenza dei gusti di gelato), “Still Alice” è un grande film, sorretto da un’interpretazione magnifica di J. Moore, al suo meglio per raffinatezza, mimesi, immedesimazione. Al film manca uno sguardo potente, ma è un dramma intimo, asciutto, che sa evitare la retorica: di livello superiore ad analoghe confezioni recenti come “Dallas Buyers Club” (qui, siamo dalle parti di un “Philadelphia”). Voto 7

Soap Opera (Genovesi). Un aborto imbarazzante, una marchetta a Medusa, apre il festival INTERNAZIONALE di Roma. Recensione su OndaCinema. Voto 2

TRASH di Daldry: compromesso improbabile tra denuncia sociale e logica da blockbuster. Nel segno di “The millionaire”

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trashFestival di Roma 2014 – Il film di Daldry ambientato nelle favelas di Rio ha un ritmo impeccabile, e un gran senso della detection. E vanta un azzeccatissimo cast di ragazzini scelti e diretti a meraviglia. Ciononostante, mi dispiace ammetterlo, ma resta un compromesso pasticciato fra logica ed estetica da blockbuster Universal (qual è, di fatto) e aspirazioni di denuncia sociale. C’è un po’ di tutto: da “Gomorra” a “Il codice da Vinci” (!), passando per “City of God”. Ma a pesare come un macigno e adombrare il film, è il suo debito con “The millionaire”.
“The millionaire”, però, in fondo, era più onesto. Un omaggio a Bollywood, una storia d’amore, un riscatto economico. Finiva lì. Daldry vorrebbe invece fare molto più sul serio del suo connazionale Boyle. Ma è in fondo meno onesto nell’immergere il film in un alone di impegno sociale (dall’inizio attendiamo la piccola/grande vittoria morale con la denuncia del politico corrotto). Le tematiche sociali sono affrontate in modo alquanto grossolano.
Il finale di “Trash” si rivela in tutta la sua furbizia. Ma non è solo nel finale che la pellicola scade. I personaggi rimangono bidimensionali (il capo della polizia è troppo cattivo per essere vero). C’è una divisione tra buoni e cattivi tagliata con l’accetta. …E una serie di implausibilità sopra la media: come quando il piccolo eroe in nome della sua intuizione di giustizia accetta di farsi sparare (graziato per compassione), o una bambina aspetta al cimitero da non si sa quanti giorni (sembrava una presenza fantasmatica, anche per come viene presentata), e poi lancia una colonna di marmo come fosse un pezzo di polistirolo. Indifendibile.

Voto 5

CLASS ENEMY, o delle ipocrisie della partecipazione.

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razredni_sovraznic_class_enemy_5“Class Enemy”, esordio del non ancora trentenne sloveno Rok Biček – vincitore della Settimana della Critica a Venezia 2013 – si svolge tutto racchiuso entro le mura di una scuola. Zupan, professore di tedesco dai metodi apparentemente fermi a un’epoca che diremmo pre-‘68, sostituisce una professoressa molto amata dalla sua classe, che si deve assentare per maternità. L’impatto con la classe, abituata a metodi educativi odierni – partecipati, morbidi e finanche lassisti – sarà traumatico. Appena pochi giorni dopo, verrà dato alla classe l’annuncio scioccante del suicidio di una studentessa, che proprio da Zupan aveva subito un severo ammonimento. Zupan rimane imperturbabile: pretende anzi di fare della morte della ragazza un esempio educativo. E si ostina in lezioni in lingua totalmente prive di empatia. In classe cova la rivolta.

Giacché fa di una classe scolastica un metaforico microcosmo sociale, è inevitabile raffrontare la pellicola di Rok Biček con… Continua a leggere…
Giudizio: 7