mountains may depart
“Mountains May Depart”: lo sradicamento della Cina.
Il film che per molti avrebbe dovuto vincere la Palma d’Oro allo scorso festival di Cannes – dove Jia Zhang-Ke, acclamato come il più importante regista cinese della sua generazione, nonché, a parer mio, uno dei più importanti registi viventi, non ha ancora ottenuto il massimo riconoscimento. Questo “Mountains may depart” è il suo film probabilmente di maggior presa su un pubblico occidentale, anche per le sue sfumature melò, che facilitano il coinvolgimento emotivo dello spettatore.
Non è certamente per questa ragione, comunque, se mi è parso un autentico capolavoro. Uno fra i tanti firmati da Jia. E’, soprattutto, per la cristallina semplicità e chiarezza con cui Jia si esprime, racchiudendo in quest’opera l’essenza della propria poetica. La potenza è tale che non stonano neppure un paio di sottolineature didascaliche, anzi paiono effettivamente opportune.
Suddiviso in tre episodi, che dal 1999 conducono fino al 2025, è il racconto di uno sradicamento. I suoi tre movimenti registrano il passato che si sgretola, nel rinnegamento delle memorie e degli affetti. Sono i segni del progresso, il costo della modernità, le controindicazioni dello sviluppo – di cui Jia, da buon orientale ancorato a tradizioni millenarie, non vede “magnifiche sorti”. Una metafora universale, un monito valido non solo per la Cina contemporanea.
Qui la mia recensione, per OndaCinema.