Nolan

“Dunkirk” (C. Nolan, 2017) e “1917” (Sam Mendes, 2019)

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Per mostrare l’incertezza in cui in guerra si rischia la vita a ogni piè sospinto, entrambi i film – costruiti in modo opposto a partire dal montaggio – assumono e mantengono un punto di vista interno a una sola parte del conflitto, senza che il nemico si veda praticamente mai (e sen­za naturalmente mai assumere neanche per un attimo il punto di vista del nemico). Si percepisce l’aleatorietà di ogni avvenimento, la minaccia continua della morte, che può giungere del tutto inaspettata.

Nolan, Europa e Hollywood

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Nolan, cineasta inglese capace di coniugare blockbuster e cifra autoriale: i suoi film, a partire da Memento (2000), sono prote­si a “ristrutturare il cinema hollywoodiano nella sua grandiosità mitopoietica”. Roy Menarini, Prefazione a Massimo Zanichelli, “Chistopher Nolan. Il tempo, la ma­schera, il labirinto”, 2015.

Scendendo nella mente fino a raffigurare le stanze più remote dell’inconscio, Inception mostra la potenza di un immaginario cinematografico che non ha perso la capacità di “andare in profondità, a sommuovere ter­ritori che non possiamo considerare meno ‘reali’ per il solo fatto di non essere immediatamente e direttamente impressionabili su una pellicola”. Leonardo Gandini, “Inception”, in L. Gandini (cur.), “Il cinema americano attraverso i film”, 2011.

INTERSTELLAR. Nolan apre al cuore. L’amore salverà il mondo?

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interstellar_1024x748…L’amore salverà il mondo, ma Nolan ama ancora intrappolarsi dentro i labirinti spazio-temporali che contraddistinguono il modo, suo e del fratello, di concepire storie. E perciò ancora non ci regala quel capolavoro cui il suo cinema extra-Batman aspira con ambizione sconfinata. Comunque, anche se Nolan non è ancora in grado di attingere le vette della più alta arte cinematografica, assistere a pellicole come questa è pur sempre un’esperienza di grande cinema. “Interstellar” risucchia in un vortice spazio-temporale che non ha pudore di appoggiarsi in più di un momento a citazioni e omaggi dell’odissea kubrickiana (specie nel finale), con l’ambizione smisurata di andare addirittura oltre.

Al di là dei cubi di Rubick con cui Nolan ci lascia sempre a interrogarci fino al mal di testa sulle sue licenze, poetiche e scientifiche, e della sua fissa per le dilatazioni del Tempo (stavolta il gioco si chiama: teoria della relatività), al di là di tutto questo, la vera novità di “Interstellar” è scoprire che Nolan ha scoperto i sentimenti. E facendo dell’Amore il motore immobile del suo universo dove si muove tutto, termina il suo film in odore di “Solaris”, con un finale che quasi vorremmo immaginare sulla soglia di una dacia.

Una menzione poi la merita davvero quella biblioteca di babele di borghesiana memoria con funzione di stanza rococò kubrickiana, dove si coltiva la speranza che a guidare un senso nell’infinito proliferare dei segni possano essere solo le lancette dell’amore.

Insomma, Nolan, che dire. Non riesci mai a convincermi di aver fatto un capolavoro, ma la tua cerebrale visionarietà sa lanciare sempre forti suggestioni. E come per tutti i migliori prestigiatori, la grandezza del tuo valore sta forse proprio nella vertiginosa suggestione di non poter sapere se era solo un trucco, o era in parte vero, quel che ci hai voluto lasciare immaginare.