volver
I doppi di “Julieta”
Si è parlato di un Almodóvar inedito, almeno in parte. Effettivamente il film segna uno scarto rispetto alle pellicole più recenti (specie le ultime due) ed appare il suo più significativo dai tempi di “Volver” (2006); ma “Julieta” è una tappa, in un percorso all’insegna dell’essenzialità e dell’asciuttezza, che è carsico all’interno del cinema di Almodóvar, con radici remote in “Che cosa ho fatto io per meritare questo?” (1984), e che proprio in “Volver” aveva trovato un vertice. Si tratta di film girati “in minore” a dispetto della ricchezza dell’intreccio. Allo stesso canone apparteneva anche “Gli abbracci spezzati” (2009), forse il film più sottovalutato del regista.
Ispirato ai racconti di Alice Munro “Fatalità”, “Fra poco” e “Silenzio” (dalla raccolta “In fuga”), il film non aggiunge elementi di novità alla poetica di Almodóvar, ma ruota intorno a una molteplicità di suoi temi tipici che, come sintetizzati e cristallizzati, vengono qui declinati nella forma del doppio. Binomi inscindibili, come nella vita è inscindibile la felicità dal dolore. In “Julieta” non c’è felicità che non si accompagni a …continua a leggere su OndaCinema.