STILL LIFE di Uberto Pasolini
Quasi punto d’incontro ben temprato fra Kaurismaki e Bresson.
Molte le reminiscenze di Kaurismaki, celate dietro una messa in scena egualmente asettica ma leggermente meno algida e surreale.
E le vite raccolte da John May attorno al suo ultimo caso, appartengono alla stessa tipologia di umanità cara al regista finlandese.
Bresson, poi – soprattutto – come nume tutelare: non solo semplicemente per l’adesione ad una certa estetica dell’asciuttezza, ma più che altro per la visione, spietata e accorata, di un mondo popolato da uomini abissalmente soli.
L’originalità di questo gran film di Uberto Pasolini sta nella dolce ferocia con la quale non perdona al suo personaggio di non aver saputo vivere, e lo condanna a un fato che raramente è così esatto e così preciso.
Il ritratto, davvero universale, che U. Pasolini fa dell’uomo, è quello di un essere non malvagio quanto moralmente misero: alla solitudine ci condanna non il male che abbiamo fatto, ma l’incapacità di accorgerci per tempo dei nostri errori, e di dedicare il nostro tempo a provare a porvi rimedio. Prima di essere tutti uguali.
Giudizio: 8