IL CAPITALE UMANO, ovvero: della grettezza in cui è sprofondata una civiltà

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VIRZI'Virzì firma il suo film più maturo, grazie a un libero adattamento di un romanzo statunitense di S. Amidon. Felice intuizione quella di affidare il progressivo disvelamento dell’intreccio all’approfondimento di alcuni diversi caratteri (più che dei rispettivi punti di vista): di capitolo in capitolo, passando da Dino a Carla fino a Serena, scopriamo i retroscena che fanno mano a mano meglio luce sui personaggi, e quindi sul contesto.
Partendo giustamente in chiave grottesca e caricaturale, per poi passare a toni drammatici – e quindi affondando sempre più in un registro, quello del noir, piuttosto inusuale fra l’altro in Italia – Virzì si supera, grazie a una sceneggiatura magistrale soprattutto nel disegno dei personaggi e nella ben oliata calibratura dei meccanismi del racconto.
Quello che rimane del film è un desolante affresco “in absentia” degli ideali (affettivi, culturali, politici) cui l’avidità ci ha fatto abdicare. Un barlume di pallida speranza senza più lacrime viene invece affidato ai giovani che ancora non si rassegnano al contesto in cui si trovano invischiati. Con la loro residua ingenua purezza, come nell’ultimo Bertolucci, quei due ragazzi sembrano alla fine rappresentare l’ultima, utopica, Thule di una civiltà sprofondata nella propria ignorante e triste grettezza.

Nota a margine. L’ultima inquadratura (foto di sopra) non è forse un omaggio all’ultima inquadratura del film “L’enfant” dei fratelli Dardenne?… 😉

Voto: 7,5

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