“Valzer con Bashir” tematizza i meccanismi della memoria: i percorsi attraverso cui la memoria dimentica, recupera, disfa, ricostruisce.
La grande libertà creativa permessa dall’uso dell’animazione corrisponde a quello che nel film si afferma: la memoria è creativa.
Il protagonista (che è lo stesso regista Ari Folman) scava alla ricerca del rimosso, di ciò che – più che aver dimenticato – non ha mai voluto sapere. E che, alla fine, riemerge.
E non appena riemerge l’orrore vero, sullo schermo cessano le immagini animate e compaiono, raggelanti, le immagini vere, documentali, storiche, del genocidio di Sabra e Chatila.
Il valore del film risiede nel fatto che usare disegni animati per un tema tanto drammatico, ripulisce totalmente lo sguardo: costringe lo spettatore a riazzerare i propri codici visivi abituali e a ricodificare quanto viene visto secondo parametri nuovi, vergini, non influenzati da quanto appartiene al già visto.
In questo risiede la vera forza del film, oltre che nella fucilata finale tenuta in serbo per lo spettatore: le immagini “vere” di repertorio entrano nel film con una potenza inimmaginabile se il film fosse stato sin lì tutto in immagini non disegnate. A questo riguardo, respingiamo l’obiezione di chi ha visto una sorta di “ruffianeria” nel passaggio ad immagini tanto crude e dall’impatto tanto forte emotivamente. E’ possibile, anzi necessario, rileggere tutto quanto il film, con il suo faticoso percorso di recupero della memoria, a partire da quel passaggio finale alle immagini reali (imprevedibile a una prima visione). Quel passaggio rappresenta la saldatura avvenuta a livello di memoria, il recupero definitivo, la realtà che esplode con tutta la sua potenza dentro al ricordo. Senza trascurare il fatto che, appartenendo quelle immagini a una memoria che non è più del protagonista, ma è di tutti, il finale allarga il discorso dalla memoria individuale a quella collettiva, e rende esplicito che il percorso di recupero compiuto dal protagonista ci riguarda tutti. “Valzer con Bashir” fa riflettere sul fatto che chiunque può avere un passato rimosso e ancora da recuperare, con il quale ancora iniziare a fare i conti, se si vuole accedere a una dimensione più autentica del proprio vissuto e del proprio io.