Dolan, dal momento che ha scelto per sé la parte del protagonista, deve sentire sulla propria pelle questo conflitto tra autenticità e messinscena nella profonda provincia canadese, che vive l’omosessualità in modo tutt’altro che open minded.
Il fascino di questo “Tom à la ferme”, a mio giudizio il risultato più alto di Xavier Dolan sino a oggi (2014) proprio per il modo in cui si distacca dal resto della sua filmografia, risiede nella descrizione del fascino e della potenza (che fa leva sulla sessualità) con cui la grettezza ipocrita o semplicemente cieca di una provincia “arretrata nella mentalità” risucchia questo ragazzo, che viene pericolosamente tentato dalla menzogna pur ricercando la verità.
Dico “dalla menzogna” perché Dolan si permette il tocco autoriale di denominare il bar dove hanno scena alcune sequenze chiave del finale in modo esplicitamente allusivo verso il vero tema di fondo del film: il rapporto tra verità e menzogna.
Un film veramente affascinante che con modalità limitrofe al thriller e al contempo con sensibilità acuta ci fa percepire quanto sia delicata e labile la capacità di corrispondere a sé anche in un’anima predisposta alla purezza.
Un coacervo di contraddizioni e ansia di Verità, come e persino meglio che nel primissimo Scorsese o nel migliore Abel Ferrara.