REDACTED

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De Palma nel 2007 ha sfornato una delle più significative riflessioni sul medium visivo nel XXI secolo, che apre abissi di senso sul rapporto tra la documentazione della realtà e la percezione del suo senso. In breve, sul rapporto tra significante e significato nella documentazione della “verità”. Il film recita in exergo “la verità è la prima vittima della guerra“. “Redacted” è una travolgente riflessione sulle potenzialità della manipolazione mediatica implicite in qualsiasi mezzo di comunicazione visivo, condotta attraverso uno sguardo rivolto a un atroce episodio della guerra in Iraq (un assassinio con stupro ad opera di un branco di soldati).
E’ un film intrinsecamente metalinguistico. Gli unici strumenti visivi utilizzati, anche se di pura fiction (il che complica il discorso, rendendolo più affascinante) sono: video amatoriali, blog su internet, riprese televisive, riprese di telecamere di servizio, video postati su internet, riprese giornalistiche, microtelecamere da elmetto (anche a raggi infrarossi), riprese di giornalisti embedded (incorporati fra le truppe).

L’opera è folgorante per come riesce a parlare dell’indecifrabilità del reale, della sua manipolazione, e soprattutto della prossimità che, per il proliferare dei segni, si crea tra soggetto e oggetto della visione, al punto da rendere difficili, o impossibili, coinvolgimento emotivo e distacco critico.
Ciò che turba, e sconcerta, è che lo stupro mostrato non sconvolge come dovrebbe (e lo stesso vale per gli altri eventi traumatici che il film visualizza, o cui allude): l’orrore apparente non è uguale a quello che si produrrebbe da una sua rappresentazione cinematograficamente più enfatica, e convenzionale.
Qui è assente una qualsivoglia retorica narrativa di tipo canonico, per mezzo della quale avverrebbe una presa di distanza critica e morale. Nella frammentazione della narrazione in una proliferazione – mimetica – di riprese di stampo documentale, si cela una riflessione sullo sguardo.
La sovrabbondanza dei segni e delle informazioni in nostro possesso, la possibilità di riprendere e diffondere qualsiasi fenomeno all’istante e a livello planetario, creano una prossimità tale da avere come effetti l’immediatezza, l’annullamento della distanza, una fruizione troppo immediata e superficiale da non lasciare tempo, allo shock, di maturare. Ecco, quindi, la tendenziale riduzione dello spazio consentito per la presa di coscienza e la riflessione: l’assuefazione visiva. La riduzione, appunto, della capacità di distacco critico e del coinvolgimento emotivo.
Il coinvolgimento critico ed emotivo necessita di approfondimento; le attuali fruizioni visive della realtà, quelle “mediatiche”, posseggono una tale prossimità che per sua natura è superficiale. Lo sguardo può poggiarsi su tutto, e non vedere niente.
In conclusione, il proliferare dei segni, anziché consentire una maggiore aderenza al reale, tende a distorcerne la percezione. E amplifica a dismisura il caos.


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