Pellicola chiave nell’opera di Miyazaki, film covato per anni, immenso successo di pubblico in Giappone, “Mononoke Hime” – anche se nel cuore degli appassionati si è imposto poi “La città incantata” – è probabilmente il film più rappresentativo della poetica del Maestro. Quello in cui, con maggior profondità e complessità, con maggior ricchezza di sfumature e di registri narrativi, è dispiegato il tema del conflitto fra natura e civilizzazione umana. E’ anche il solo film in cui Miyazaki allude a quell’evento chiave della storia giapponese che è la tragedia delle bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki. Nel finale del film, assistiamo a un’evidente allusione al disastro conseguente l’esplosione di un’atomica: in due momenti successivi, con due diverse valenze, ci viene mostrato qualcosa che assomiglia al “fungo atomico” e, poi, un vento incandescente.
La natura che, dopo, si rigenera, è poesia che non consola banalmente: il disastro c’è stato, la rinascita è un segno di speranza solo in quell’ottica panica, tipicamente orientale (ripresa anche da Malick, in termini heideggeriani, prima che si imponessero nella sua poetica i riferimenti al cristianesimo), in cui l’individuo cessa di avere il significato ossessivo che possiede in occidente, perché, prima di essere individuo, è parte del tutto. Il pessimismo che qualcuno ha rinvenuto ciononostante nel finale, scaturisce dall’incerta sensazione che il film lascia quanto alla possibilità – fuor di fiaba – di raggiungere una sintesi tra natura e civilizzazione. In effetti, la Storia dimostra che l’uomo non sa riuscire in quella sintesi, e anzi il divario con la natura aumenta con il progresso tecnologico.
Forse persino Malick, per alcune scelte estetiche de “La sottile linea rossa”, ha subìto influenze da “Mononoke hime”. E sono persino scontati i debiti di “Avatar” nei riguardi non solo di questo film, ma di Miyazaki tutto (ad esempio le isole volanti riprese da “Laputa – castello nel cielo”). Gli esempi sarebbero tanti: al di là di evidenti affinità tematiche, si va dall’assalto dei cinghiali richiamato da quello di bestie simili a rinoceronti alla fine di “Avatar” (con analoga funzione diegetica), al richiamo dell’archetipo (lo stesso di Pocahontas – ripreso anche da Malick in “The new world”) dell’eroe che, per tramite dell’amore, si trova a scegliere fra una comunità di appartenenza e una di elezione.