LA TERRA TREMA

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Con “La terra trema” il “neorealismo” raggiunge il suo apice, forse ancor più che nella trilogia di Rossellini (“Roma città aperta”, “Paisà” e “Germania anno zero”).
Affidato interamente a attori locali non professionisti, il film è una sfida epocale, che deve moltissimo ai “documentari” di Flaherty (“L’uomo di Aran”, 1934), e lascerà in eredità al cinema un modo completamente nuovo di rappresentare opere di fiction realiste – se vogliamo per l’epoca “sperimentali”, nel senso di filmate fuori dagli studi di posa, ma al contempo lineari, contemplative, in breve idiomaticamente “realiste” (con tutta l’ambiguità di questa espressione), a differenza degli esperimenti del cine-occhio di Dziga Vertov (“L’uomo con la macchina da presa”, 1929).

Probabilmente è il più alto risultato artistico di Visconti. Film completato nonostante enormi traversie produttive, nell’immediato dopoguerra, con capitali del PCI (il film è evidentemente schierato, in un momento storico turbolento, girato e completato prima ancora del referendum del 1948!), avrebbe dovuto costituire il primo episodio di una ideale trilogia (è infatti l’ “episodio del mare”).
Interessante anche per il rapporto tra verismo e neorealismo (“La terra trema” è il film “neo”-realista che direttamente si confronta con un’opera del realismo italiano, ossia il c.d. verismo: “I Malavoglia” di Verga).

La vicenda è aggiornata al presente: questa scelta, che è di denuncia sociale (staticità anziché progresso), al contempo universalizza la vicenda ottocentesca, poiché la decontestualizza storicamente. Ed è ciò che soprattutto ne fa, infine, un capolavoro assoluto.


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