Se “Big fish” è l’opera più complessa e matura di Tim Burton, a Burton non era mai riuscito tanto bene come ne “La sposa cadavere” di far coesistere temi e modi classici con la sua poetica di irresistibile rovesciamento della tradizione, e del tradizionale modo di pensare la morte.
Il mondo dei vivi è pieno di gente morta; invece i morti, liberi finalmente dalle regole che affliggono noi “quassù”, sono irresistibilmente più felici, e colorati. L’idea di affidare al mondo degli inferi tutta la tavolozza dei colori, relegando invece il mondo reale alle tonalità dimesse del blu, è il grande valore aggiunto dell’opera, in termini meramente cromatici.
Da vedere, e ascoltare (particolarmente bella la colonna sonora di Danny Elfman), assolutamente in lingua originale.