Il più affascinante capolavoro di Kieslowski trasmette la percezione fisica che esista dell’altro oltre la materia, lavorando per mezzo di filtri (oro e verde), superfici riflettenti, riverberi, momenti trasognati, una musica sublime, e un generale incantamento che riesce a non escludere le brutture del mondo (attentati, false testimonianze, esibizionismo).
Le due Veroniche sono ragazze ingenue. Vivono di sensibilità: e hanno bisogno di filtri per non essere turbate dalla crudezza del reale. Il mondo ovattato in cui vivono è simile a una campana di vetro.
Tanti davvero i vetri in questo film.
Nel magnifico finale, Veronique abbassa il finestrino, e tocca una ruvida corteccia. Questo finale trasmette la sensazione di un implicito bisogno di concretezza finalmente raggiunto.
In momenti di raccoglimento, di contemplazione, di ispirazione, di solitudine, tutti sperimentiamo talvolta la sensazione di sofferenza che scaturisce dall’impossibilità di condividere con altri la nostra intimità più profonda.
L’amore dona l’illusione di superare questa intima solitudine; in certi momenti riesce in questo miracolo. Non sempre c’è l’amore, ma può permanere la speranza. E’ questa speranza che il film trasmette.
“Il traguardo è quello di catturare ciò che è dentro di noi, ma non c’è modo di filmarlo. Il regno delle supersitizioni, delle predizioni, dei presentimenti, dell’intuizione, dei sogni, fa parte della vita più profonda dell’essere umano, ed è la cosa più difficile da filmare. Sebbene sappia quanto sia difficile, tento ostinatamente di avvicinarmi a questo mondo” (K. Kieslowski). A mio avviso ci è riuscito, meglio di chiunque altro.