A fare di questo film – per la sua epoca più estremo di “Ultimo tango” o “Arancia meccanica” – un capolavoro, non basta l’estenuata e rigorosissima messa in scena, sempre di altissima fattura e perfezione estetica. Se si trattasse semplicemente di questo, staremmo dalle parti di Borowczyk (grande esteta, e autore negli stessi anni ’70 di film molto espliciti). Non è estraneo al film neppure un discorso sociale (è un film politico, come tutto Oshima: lo vedremo tra poco). Ma c’è qualcos’altro in primo luogo. Qualcosa che non rimanda semplicemente alle teorie di Bataille su amore e morte, eros e thanatos.
Il valore di “Ai no korida” sta nella seraficità con cui il protagonista si lascia annichilire. La pulsione autodistruttiva è messa in scena come un rito (peculiarità di Oshima), un rito che destabilizza lo spettatore perché appunto autodistruttivo (e non per il suo contenuto esteriormente connesso alla dimensione del piacere sessuale).
La grandezza del film risiede nella maniera in cui progressivamente la morte s’impossessa della vitalità, e quindi della vita: nel modo in cui la coazione a replicare il piacere si converte in istinto di morte.
La smania di possesso contagia come un virus la donna del popolo, sino a renderla folle e priva della fonte del suo piacere, per averne voluto possedere il feticcio. Lo sviluppo sfiora il teorema *, ma di un teorema possiede più la limpidezza che la rigidità teorica.
Fosse realizzato oggi, questo film non darebbe uguale scandalo; e chissà se assurgerebbe alla stessa celebrità. Visto oggi, mantiene un fascino che deve molto alla sua impronta allegorica universale: la vicenda ispirata a un fatto di cronaca è ambientata negli anni ’30, ma potrebbe svolgersi oggi, in ogni luogo. Può non essere amato visceralmente, ma non si può disconoscerne la grandezza che spetta ai grandi capolavori.
* Non mi paiono fuori luogo confronti proprio con “Teorema” di Pasolini, né di conseguenza con il disturbante “Visitor Q” di Miike (il cui compiacimento è d’altronde lontanissimo dal rigore di Oshima).
2 settembre 2015 alle 10:33
[…] A fare di questo film – per la sua epoca più estremo di “Ultimo tango” o “Arancia meccanica” – un indiscutibile capolavoro della cinematografia mondiale non basta l’estenuata e rigorosissima messa in scena, sempre di altissima fattura e perfezione estetica. Se si trattasse semplicemente di questo, staremmo dalle parti di Borowczyk (grande esteta, e autore negli stessi anni ’70 di film molto espliciti). Non è estraneo al film neppure un discorso sociale (è un film politico, come tutto Oshima: lo vedremo tra poco). Ma c’è qualcos’altro …continua a leggere. […]