Ah la profonda anima russa. Esiste una tradizione di animazione russa, poco studiata e conosciuta, che ha un posto nella storia del cinema analogo a quello dell’animazione giapponese (di quella statunitense, o disneyana, non vorrei parlare: al tempo stesso troppo esposta, e troppo colpevole di aver ghettizzato, sinora, l’animazione al rango di cinema dei bambini). Per gli esperti, “Il racconto dei racconti” di Yuri Norstein è il capolavoro dell’animazione russa. E basta guardarlo, questo gioiello di pura poesia, per capire che ha alle spalle un’arte immensa. Un mondo tutto da esplorare.
I disegni sono belli come dipinti; non c’è una storia, ma è una serie di quadri in movimento che si susseguono come in sogno; il protagonista è un tenerissimo lupacchiotto che tutto solo assiste alle vicende degli umani: l’allattamento di un cucciolo di bimbo, le danze, i padri che partono per la guerra, le donne che aspettano, i padri che non tutti tornano, un bambino che gioca da solo sulla neve e immagina di abbracciare gli uccelli sul ramo sopra di lui. Un uomo sulla panchina beve; affianco alla madre. Non si parlano.
Il lupacchiotto si cuoce una patata, nel freddo della profonda Russia la patata scotta ed è preziosa, sfama, si percepisce la fame del lupacchiotto sedata. Conforto solitario.
Non ci sono praticamente parole.
Parlano i colori, la natura. La pioggia, una mela, la neve.
E le fantastiche musiche di Bach e di Mozart.
Ci sono reminescenze di Tarkowskij, soprattutto da “Lo specchio”.
E la grana scelta da Sokurov per molti suoi film deve probabilmente qualcosa ai disegni di Norstein.