La trasposizione di un capolavoro della letteratura è una scommessa difficilissima; ben che vada, si riesce a restituire un frammento della grandezza dell’opera originaria. Più si è fedeli, maggiore è il rischio di un bignami recitato; più ci si scosta, maggiore è il rischio di deturparne la grandezza. “L’idiota” di Kurosawa è l’eccezione a questa regola.
E tanto maggiore era la sfida, quanto più si considera che “L’idiota” di Dostoevskij è un’opera che ruota attorno a una figura immobile, “perfettamente bella” dall’inizio alla fine, a contatto con la quale sono gli altri ad essere messi alla prova, turbati e stravolti.
Ne “L’idiota” di Kurosawa la fedeltà al romanzo è grandissima pur nella ricreazione. La sceneggiatura è miracolosamente in grado di comprimere in circa tre ore (a seconda delle versioni) l’essenza di un romanzo di 600 pagine senza smarrirne nulla.
“L’idiota” rinasce nell’isola di Hokkaido, sotto una continua tempesta di neve. Negli interni di queste dimore borghesi hanno luogo alcune delle scene dostoevskiane fatte di dialoghi infinitamente protratti, vibranti, tesi al massimo dello spasimo fino al rivolgimento dei caratteri e allo svelamento di verità inaudite. Nastas’ja, Rogozin, Myskin, Aglaia. “L’idiota” ha un intreccio di base talmente forte da non uscire sminuito dalla riduzione alle vicende di questi quattro personaggi principali.
La neve in cui Kurosawa ha deciso di immergere la vicenda (abbandonando le calde estati dei suoi lavori precedenti) ben fa da correlativo oggettivo al ghiaccio che paralizza il calore del cuore e i sentimenti: ed è una scelta felice, anche perché si immaginano le vicende del romanzo ambientate in analoghi inverni oltremodo gelidi, a San Pietroburgo.
Masayuki Mori che interpreta Myskin ha un particolare modo di trattenersi il bavero della giacca, con le braccia rattenute in una costante tensione che le blocca in una posizione di continua partecipazione emozionale a ciò che avviene attorno a lui.
Un giovane Toshiro Mifune dona a Rogozin l’istintualità dei gesti e il lampo di fuoco nello sguardo che lo rendono indimenticabile in questo ruolo, forse addirittura il migliore fra tanti straordinari.
Molto felice la scelta di fare di Myskin quasi un alter ego di Dostoevski, legando a lui l’aneddoto (che appartiene alla biografia dello scrittore) di esser stato salvato in extremis dalla pena capitale.
“L’idiota” è un film molto parlato, che possiede alcuni momenti altissimi in cui a parlare sono le immagini, in quei silenzi che permettono alle evoluzioni avvenute attraverso i dialoghi di addensarsi entro l’animo dello spettatore; per poi riprendere a farsi svelare la vicenda dai volti sempre intensi ed espressivi degli strepitosi interpreti (compreso quello di Myskin, necessariamente fisso in quasi una sola espressione dominante).