“Her” è un capolavoro. Un classico.
Italo Calvino avrebbe elogiato questo film. Leggerezza. Rapidità. Esattezza. Visibilità. Molteplicità. Le lezioni americane fatte film.
In “Her” (dialoghi stupendi, regia baciata dalla grazia, interpretazioni magistrali, fotografia fantastica) c’è un equilibrio miracoloso tra profondità e levità. Il bisogno universale di contatto e amore dialoga poeticamente con la tendenza al solipsismo propria dell’era digitale. “Her” immalinconisce con disincanto, ma dischiude la speranza: trovando nella persistenza della memoria emotiva il tesoro segreto che consentirà all’amore di salvare il mondo (parafrasando Dostoevskij).
Sì: la memoria emotiva. Quella più fragile a perdersi, quella più preziosa. Quella che da “Hiroshima, mon amour” conduce a “Eternal Sunshine of the spotless mind“.
L’uso del flashback, cui “Her” fa largo ricorso, come continuo contrappunto, è stato raramente così espressivo al cinema.
“Her” è la fotografia più fedele – una fotografia lieta, tirate le somme – che il cinema, come macchina dell’immaginario, potesse restituirci dell’era in cui ci siamo inoltrati. (Una fotografia intima, umanista; non socio-politica).
Senz’ombra di dubbio una pietra miliare del cinema del nuovo secolo.
Mi piace immaginarlo, anche, come il film che Alain Resnais ha inseguito per una vita. L’ha girato Spike Jonze. Spike, come ti è venuto così bello?
Qui la recensione completa, su Filmscoop.it.
14 marzo 2014 alle 14:19
[…] In “Her” (dialoghi stupendi, regia baciata dalla grazia, interpretazioni magistrali, fotografia fantastica) c’è un equilibrio miracoloso tra profondità e levità. Il bisogno universale di contatto e amore dialoga poeticamente con la tendenza al solipsismo propria dell’era digitale. Continua a leggere… […]