Silenziosi più di un’invasione di cavallette, gli elicotteri sorvolano Los Angeles come se agli elicotteri di Apocalypse now avessero spento le Valchirie; come una pantera della polizia senza lampeggianti.
Nel silenzio che invoca un urlo devastante, e invece prosegue nell’indifferenza generale a generare sommessi disastri, il film si svolge avviluppando storie e frammenti, “short cuts” quotidiani e minimali, fitti di gesti, omissioni, dimenticanze: il vivere sbadando (sbadate vite in cui può capitarci di assillare per 10 dollari di torta i genitori di un figlio in coma).
Il vivere sbadando che si trascina, osservato senza indugio e con polso fermissimo, con lucidità e asciuttezza, si sospende e si sorprende su di un terremoto: e poi subito riprende. Nulla è stato. Nulla è mai. La città giace, il sole splende.
Questo intreccio di meschinità è tratto da alcuni racconti del più grande autore letterario americano della seconda metà del XX secolo, Raymond Carver. La peculiarità del film sta nell’accumulo progressivo, nel potenzarsi vicendevole delle vicende. L’addensarsi delle trame rende labirintico il film come una città estranea a se stessa.
Che è anche geniale allegoria della vita in una megalopoli, in cui ci si sfiora quotidianamente, permanentemente estranei. E la meschinità, sì, scaturisce proprio da quel vano senso di libertà che ci deriva dall’illusione di attraversare la metropoli restando estranei: di sparire, insieme ai nostri meschini tradimenti e alle nostre bassezze, senza farci vedere nè da un dio, nè dai nostri cari che tradiamo.
Poi c’è anche un comun denominatore, a questi frammenti: ed è che sempre il maschio è il più vile e il più meschino. La quasi totalità delle figure maschili nel film è negativa. Che sia frustrato o vile, più spesso diventa violento e vendicativo. Ignavi e insensibili: e quasi sempre c’entra il sesso. E la prevaricazione sulla donna (come nel grande capolavoro americano del decennio successivo, “Inland Empire“, la prevaricazione dell’uomo sulla donna è centrale a “Short cuts“).
Invece nessuna, o quasi, delle figure femminili di questo film, è altrettanto meschina. Nessuna di queste donne è una carnefice; quasi ognuna è una vittima. Sino alla giovane violoncellista silenziosa, che cede all’orrore dell’indifferenza per la morte di un innocente, e quasi assomma su di sè tutto il male. Capro espiatorio e vittima sacrificale.