Apes revolution: il pianeta delle scimmie diventa distopia del presente.

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apesSceneggiatura e dialoghi di rara intelligenza nel cinema mainstream medio, addirittura miracolosi in un blockbuster di questi sventurati tempi di sequel prequel reboot supereroi titani e fumettini tridimensionali.
Reeves è regista interessante sin dai tempi di Cloverfield, e qui ha il merito non piccolo di non uscire stritolato dalle spire della megaproduzione.
Si difende invece egregiamente, ci mette del suo e firma uno dei più bei film del marchio Planet of the apes.

Il precedente episodio era una semplicistica (e lieta) versione della lotta di classe scatenata dall’acquisizione della coscienza (di classe?). Ora si tratta di una più complessa (e realista) distopia, che racchiude un ritratto non banale delle dinamiche della pace e della guerra, delle ragioni non idealistiche ma concrete di chi supporta la pace, e dell’inevitabile concatenazione casuale di eventi attraverso cui la violenza finisce per imporsi e la guerra a divenire l’unica soluzione anche per chi l’aborrisce.
L’evoluzione del personaggio di Cesare, a questo riguardo, è paradigmatica. Cesare è saggio e “illuminato”: è bene che il potere lo riprenda e lo mantenga lui. E tuttavia, non c’è strada per il potere che non passi attraverso la sopraffazione e in certi casi l’omicidio. Ciò che era un vanto (“scimmia non uccide scimmia!”) dev’essere ora rinnegato.
Il messaggio politico è chiaro, ed è realista (qualcuno dirà pessimista). L’elemento di maggiore raffinatezza raggiunta da questo bel film.

Giudizio: 7

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