2001: ODISSEA NELLO SPAZIO

“2001” costituisce un meraviglioso “contenitore” in cui ognuno può mettere ciò che vuole, stimolato da provocazioni ottiche e sonore.
Il film è composto di raffinate e inesauribili trovate di messa in scena: è una sinfonia – orchestrata con una maturità registica magistrale – per immagini e suoni (musica e rumori). Pochissime le parole.
E’ il trionfo, in tutto lo splendore dello schermo panoramico, delle potenzialità astratte del cinema (arte composta di immagini, movimento, suoni, cadenza temporale, accostamenti di montaggio – il tutto che fa esplodere suggestioni di senso quanto più sopraffini quanto maggiore è la padronanza, e l’innovativa originalità delle forme).
Un cinema molto vicino alla musica, alle sue risonanze.
A “2001” occorre accostarsi come ad una sinfonia musicale. Decisamente non con i parametri abituali del cinema, soprattutto se si ritenesse il cinema semplice narrativa per immagini.

“2001” di che parla?
Ognuno può vederlo come vuole, al punto che può essere egualmente considerato un’allegoria pessimistica e decadente sull’impossibilità per l’umanità di stare al passo delle sue ambizioni, oppure un apologo sulla grandiosità dell’Uomo, dei suoi mezzi, alla conquista dell’universo.
La trama del film sembrerebbe avallare la prima lettura, con la missione Giove messa in crisi e fatta fallire da un Computer-Frankenstein che si ribella ai suoi creatori. E da un misterioso monolito nero che cattura la curiosità dell’Uomo, lo chiama a sé, senza mai svelarsi e lasciando la sensazione che all’Uomo sia negata la chiave per comprendere il mistero del Cosmo.
Tuttavia, il film è imbevuto dell’ottimismo degli anni ’60 in cui fu concepito, e moltissime sequenze sono un trionfo di fantasia tecnologica (fanta-scienza in senso letterale) che quasi 50 anni non hanno ancora reso obsoleto. Quanto messo in scena in “2001” è tuttora possibile; il film appare datato più che altro negli abbigliamenti e negli arredi. La sola cosa non prevista correttamente è la miniaturizzazione dei chip elettronici.
E – per la lettura in chiave ottimistica del film – non si può ignorare il Feto Astrale con la musica nietschiana di Zarathustra, che si specchia nella Terra e su cui il film si chiude. Rinascita a una dimensione più evoluta dell’umanità, o iconica coazione a ripetere ciclicamente lo stesso processo, in cui alla brama di evoluzione e alla sete di sapere fa fronte un enigmatico monolito nero che non si pronuncia e non si svela?
Comunque sia (il film lascia mirabilmente aperta la questione: lascia liberi di interpretare il suo “messaggio”, così come si è liberi di interpretare la vita, la Storia, i massimi sistemi), il film mette in scena nientemeno che l’eterno “faccia a faccia” tra l’Uomo e il Grande Mistero. Se si vuole, è anche una rappresentazione del confronto, silenzioso e senza dialogo, tra l’Uomo e la divinità.
“2001” suggerisce che senza un’intuizione particolare, avvenuta in un giorno qualsiasi dei milioni di anni che separano la comparsa della vita sulla Terra dall’inizio della Storia dell’Uomo, e magari con un “aiutino” esterno (il monolito che compare alle scimmie), l’evoluzione non sarebbe iniziata. Qual è questa “intuizione”? La scoperta del fuoco? Della ruota? No. L’invenzione di un’arma. La scoperta che un osso di tapiro può essere usato per uccidere un altro tapiro, e procacciarci cibo. Di lì, il passo per uccidere anche un proprio fratello il passo è breve. Caino e Abele.
La Storia dell’Uomo è storia di guerre, volontà di potenza che si scontra con volontà di potenza. Sete di dominio e violenza.
Questo è alla radice dell’evoluzione, questo sospinge la ricerca scientifica e la sete di conoscenze.

2001

L’osso di tapiro vola a ralenti nel cielo azzurro e – stacco, ed ellissi di milioni di anni – diventa un’astronave.
Il messaggio qui è chiaro, e la sequenza è una delle più sublimi mai concepite.

Sulla Luna è stato scoperto uno strano Monolito Nero.
La sua origine è totalmente sconosciuta.
Sembra che, all’alba del terzo millennio, l’Uomo moderno (visto negli anni ’60 con una buona dose di positivismo) sia nuovamente chiamato “da fuori” a nuove conquiste. Ma stavolta, a essere messo in crisi dal monolito, e a essere turbato da una nuova – naturale – innata – volontà di potenza non è l’Uomo, ma la sua creatura: l’intelligenza artificiale. Hal.
Hal, vero protagonista del film (nient’altro che un occhio rosso e una voce inquietante), è il soggetto con cui lo spettatore più solidarizza. Quanto appare più umano degli asetticissimi umani che compaiono nel film – divenuti (così ci immaginavano negli anni ’60, quasi disumani nel controllo delle emozioni, nella familiarità con una tecnologia che avrebbe preso il sopravvento sulle nostre vite. E’ un’esagerazione, ma non ci sono andati molto lontani). Hal – nella sua perfezione – avverte un conflitto tra la missione alla cui supervisione è posto, e il fatto per lui misterioso ed inspegabile che degli uomini abbiano tenuto segreto ad altri uomini (i membri dell’equipaggio) lo scopo della missione.
Pensa di poter fare da solo e meglio dei suoi creatori.
Ma si scopre vittima di quello che, come computer, non aveva potuto prevedere: la possibilità che un uomo possa rischiare la vita. David tenta, e riesce, a rientrare nell’astronave in assenza di pressurizzazione, dopo che Hal gli ha chiuso tutte le vie di accesso sotto il suo controllo.

Il “viaggio oltre l’infinito” – i dieci minuti di effetti speciali definiti il “trip allucinogeno” del film – rappresenta, allo sguardo di un uomo che non capisce quello che vede, l’orizzonte infinito di quanto l’universo ancora nasconde. L’infinita dimensione del sapere ancora al di là delle potenzialità umane (dal microscopico al macroscopico: nel trip si vedono galassie e cellule).

Alla fine, l’Uomo cui è stato mostrato tutto il mostrabile, ma che non è ancora arrivato a farlo suo (non ci potrà mai arrivare definitivamente, anche se questa è la sua ambizione più grande?), si trova a vivere una vita solitaria (metafora pessimistica della nostra essenziale condizione di individui?) ripercorsa in pochi minuti con un geniale utilizzo del campo e controcampo, che suggerisce continuamente, tra l’altro, la costante percezione, da parte di quest’individuo solo, di non essere solo… Questa vita intera trascorre, senza un’aggiunta di senso, sino a un’estrema vecchiezza in cui l’uomo, ormai sul letto di morte, si trova, ironicamente, a fronteggiare ancora una volta il Mistero Assoluto che ha dominato la sua esistenza. Il Monolito Nero.
Dio?
Piuttosto, un “significante senza significato”, adatto a rappresentare benissimo qualcosa che contenga il senso di tutto, un senso tuttavia assolutamente inaccessibile.

Quella mano alzata del morente verso il monolito sembra quasi dire: “ancora tu!… ma… ah, adesso ho capito! Eri tu, con la tua impenetrabilità, a governare e portare avanti la mia esistenza”.
Dopodichè, un imprevisto e improvviso carrello in avanti verso il monolito riempie tutto lo schermo. E sale la musica, e compare il Nuovo Feto Astrale.
Un uomo nuovo, o l’allusione che la vicenda umana è circolare, e che l’avventura è destinata a ripetersi eternamente in un eterno ritorno (nietschiano)?

L’immagine del cerchio è ricorrente: lo jogging di Frank sull’astronave circolare, tranquilla corsa in linea retta ma circolare, quasi con l’illusione di andare sempre avanti percorrendo invece un cerchio, e tornando infinite volte sullo stesso punto, ha sempre lasciato la convinta sensazione che quella sia una voluta metafora della vicenda umana.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...